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CONTINGENCY – REGAN WHEAT – 30 settembre/7 novembre 2021

I dislocamenti – per il clima e la desertificazione, per i conflitti e le guerre, per le dispute sui confini, per l’accaparramento delle risorse – provocano un andare per il mondo che non ha niente di gioioso, che non ha nulla della scoperta, che non somiglia neanche un po’ alla ricerca di avventura di quella parte di pianeta che siamo abituati a considerare il tutto. Ma che è invece un’immane e inimmaginabile tragedia. È nei volti dei bambini – che dovrebbero essere il futuro, la speranza, la gioia di vivere – che si specchia quella tragedia. Li guardiamo per un attimo, ritratti nelle pagine dei giornali, per poi dimenticarli subito dopo. Regan Wheat, artista multimediale che fa un lavoro di archiviazione, analizzando ciò che manca nel linguaggio, nella storia e nei luoghi, ha voluto ritrarre quei volti usando un solo medium, l’olio su tela: lei che adopera collage, video, immagini, lei che piega la materia, che la plasma, che la scava, ha voluto una cosa tanto semplice quanto una pennellata per aiutare a soffermarsi sui volti dei tanti bambini che in questi ultimi anni hanno riempito per un effimero attimo la cronaca. Il titolo della mostra è Contingency: e vuole richiamare quel senso di perdita ineluttabile che avvolge e assale l’essere umano quando a scomparire dal radar delle storie e della Storia sono i bambini: bambini siriani trucidati da una guerra terribile, bambini messicani incastrati in confini che li hanno inghiottiti senza lasciarne traccia, bambini africani travolti in conflitti etnici o costretti a fuggire perché la loro terra è diventata un immenso deserto, bambini palestinesi persi in campi senza più ulivi. Vittime, tutti, delle colpe di altri. Pennellata dopo pennellata Regan Wheat ha ripercorso i tratti di quei volti, e ha percepito, nello stendere sulla tela il colore, nel riprodurre decine di facce che sono decine di vite, tutto il peso di quelle esistenze perdute, come nel romanzo Bambini nel tempo di Ian McEwan. Esistenze che diventano, proprio nel tentare di riprodurle, irraggiungibili, irraccontabili, uno scuotimento delle coscienze per questo renderle presenti. Quegli occhi, quei volti, quelle mani, quelle pennellate dense di colore e di dolore parlano e spiegano più di quanto potrebbe mai fare nessuna cronaca.